martedì 17 luglio 2012

"Dopo il punto cosa c'è". Capitolo venti

Capitolo venti.


Un’antica leggenda narra che i portici che vanno dalla stazione principale della città fino a quella piazza enorme e spaziosa ai piedi della collina, la piazza preferita di Talete, passando da quel castello affascinante che lo stesso Talete più volte si era fermato ad osservare, erano stati fatti costruire da un re che viveva in quel castello e che voleva poter passeggiare, senza ombrello anche nelle giornate più piovose, fino al fiume che divide la collina dalla città.

Quel giorno non stava piovendo, ma a Talete piaceva ugualmente tantissimo giocare a fare il re.
E così era proprio lì sotto i portici, con un intero seguito di dame e giocolieri, vestiti sfarzosi e guardie a cavallo, apprezzando la bellezza della sua città in quelle giornate di pioggia, godendosi la sua passeggiata asciutta fino alla sua piazza preferita.
Una voce conosciuta però gli fece nascondere la corona e fece scappare tutti i suoi sudditi.
“Hei, ma guarda un po’ chi c’è! Ciao piccolo!”
Beatrice era seduta ad un tavolino del dehor del bar all’angolo da cui iniziava la suddetta piazza. E non era da sola.
“E’ lui! Che coincidenza! Talete, Arturo. Arturo, Talete. Stavamo parlando di te, sai?”
Bea aveva agito istintivamente, senza tenere conto che il suo piccolo amico avrebbe potuto tranquillamente salutarla senza neanche girarsi a guardare il suo compagno di caffè, facendole fare una figura particolare. Aveva solo accennato ad Arturo qualcosa di veloce a proposito di Talete, omettendo quella sua caratteristica di non salutare nessuno, se non chi colpiva veramente la sua attenzione.

Fortunatamente l’attenzione di Talete pareva essere stata decisamente colpita. A dispetto della consuetudine infatti il filosofetto si girò verso Arturo  e, guardandolo begli occhi con la sicurezza che si addice ad un vero re, gli sorrise per salutarlo.
Bea stentava a crederci.
“Ciao Talete, è un piacere. La tua amica mi stava giusto raccontando di te. Del suo ‘piccolo filosofo’ a quanto pare.”
Arturo i più ci metteva del suo perché il ragazzino lo prendesse  subito in simpatia. Talete infatti fece di sì col capo, accendendo negli occhi quel suo particolare sorriso.
E dimmi un po'. Mi stava dicendo Bea che vuoi fare un viaggio, vero?"
Questa volta Talete rispose proprio, sorprendendo ancora di più Beatrice. Era la prima volta forse che lo vedeva parlare con una persona che no fosse lei stessa. E il fatto che questa persona fosse proprio Arturo la sconcertava.
"Sì".
"E verso dove?"
Talete titubò un attimo, ma poi rispose di nuovo con sicurezza.
"Verso la luna."
Bea nonn potè che sorridere, orgogliosa e imbarazzata nello stesso istante. Arturo invece sembrava decisamente a suo agio. Si appoggiò allo schienale della sedia, emise un leggero fischio e annuì col capò.
"Beh... lunghetto come viaggio. E a quando la partenza?"
Talete si girò verso la sua amica, come a cercare un appoggio. Il sorriso di lei andava più che bene.
"Non lo so. Sto cercando di capire quand'è il momento giusto per fare qualcosa di importante. Bea mi ha detto che quando arriva qurl momento lo senti. E io sto aspettando il momento di sentirlo."
"Suppongo che la tua maica abbia ragione, sai? Però penso anche che tu debba comunque fare la tua parte. devi saper cogliere i segnali. Vedi? E' tutta una questione di fortuna nella vita. La fortuna va e viene. Arriva quando non te l'aspetti, e si fa desiderare, poi però decide di darti delle opportunità. E la tua bravura sta nel riuscire a prendere queste occasioni al volo, a non fartele scappare. Nno sai mai se e quando ritorneranno. E la cosa più brutta che c'è al mondo, secondo me, è rendersi conto di non aver fatto la scelta giusta nel momento giusto, e pentirsene."
Bea fissava Arturo. La testa leggermente reclinata sulla spalla. Uno dei suoi sorrisi in tutto il corpo. Una curiosità verso il personaggio di fronte a lei fin nella punta delle dita.
"Ci sarà quel momento in cui sentirai qualcosa. Bene, allora afferralo e fallo tuo. Mi raccomando."
Talete ascoltava le parole del ragazzo appena conosciuto con l'attenzione con cui un cacciatore mimetizzato nelle frasche segue le movenze della sua preda. Poi scosse il capo e nei suoi occhi comparve una piccola espressione di timore.
"E se arriva quel omento e io non so cosa fare per prenderlo?"
Arturo sorrse, si sporse in avanti verso il ragazzino e gli scompigliò i crespi capelli con la mano, diffondendo sicurezza tutto intorno.
"Nel tu cas è facile, ometto. La cosa più difficile di un viaggio è fare il primo passo. Una volta fatto quello basta solo metter un piede davanti all'altro e senza neanche accorgertene il viaggio sarà iniziato. Poi il resto è come ti ho detto, è tutta una questione di fortuna!"
Bea continuava intanto ad osservare la scena. Spettatrice incredula di un film che la incuriosiva sempre di più.
Talete invece stava fissando il vuoto, perso ancora una volta nella sua realtà. Le parole di Arturo stavano aiutando la sua straordinaria mente a disegnare una mappa perfetta del suo viaggio che sicuramente da lì a poco sarebbe cominciato. Senza dire nulla infatti fece per andarsene, quasi scordandosi di salutare Bea e il suo nuovo amico. Dopo pochi passi però si fermò, si girò verso i due, li salutò con un timido gesto della mano, sorrise loro e, richiamati all’ordine i suoi sudditi, si fece riportare la corona per finire la sua passeggiata regale.

Bea e Arturo lo guardarono allontanarsi. Poi si girarono l’uno verso l’altra e, dopo un piccolo sguardo interrogativo, si misero entrambi a ridere.
“Beh, non scherzavi quando dicevi che forse era un po’ strano! Però mi piace un sacco… è un personaggio!”
“Eh, lo so. Anche a me fa impazzire. Sembra tutto così facile per lui…”
“Mi sa che lo è proprio tutto così facile per quel ragazzino. Da invidiare un carattere così.”
“E dovresti sentire cosa dice! Fa dei discorsi di una serietà allucinante alle volte. E li fa come se fosse la cosa più normale del mondo.”
“Ma si vede… basta guardarlo negli occhi. Che tipo…”
“Ma lo pensi sul serio quello che gli hai detto?”
“Beh, quella cosa del primo passo e dei piedi uno davanti all’altro l’ho sentita in un film…”rispose Arturo con un sorriso furbesco.
“No, intendo quella storia della fortuna.”
“Certo che lo penso. Sul serio secondo me la fortuna ha un peso allucinante sulle nostre vite.”
“E tu? Ti senti fortunato?”
Arturo fissò gli occhi incuriositi di Bea. Stette zitto un attimo. Le sue dita torturavano la bustina dello zucchero rimasta inerme sul tavolino. Poi rispose gettando lo sguardo al di là della ragazza.
“La fortuna aiuta gli audaci, si dice così, no?  E’ quello che ho detto anche al tuo amichetto, in fondo. E se ci pensi gli audaci sono quelli che osano, che rischiano. Sono quelli che alla fine dei conti la fortuna la riescono a sfruttare. Io penso che la sorte dia delle occasioni ad ognuno di noi. Certo, a chi più e a chi meno. Ma gira, senza un ordine. Forse c’è chi è più e chi è meno fortunato in assoluto, ma la fortuna importante è quella relativa ad ognuno di noi.”
Bea continuava a sorridere e a tenere gli occhi incollati a quelli di Arturo.
“Wow… è molto profondo quello che dici. Però così non mi hai risposto… Tu ti senti fortunato o no?”

Le mani di Arturo erano passate a giocare con la moneta da un euro che da lì a poco da resto si sarebbe trasformata in mancia. I suoi occhi intanto erano tornati al tavolino, prima di adagiarsi con dolce fermezza su quelli di Bea. La sua mente invece stava scegliendo quale lato della moneta avrebbe preferito uscisse con un ipotetico lancio. Il silenzio che si era creato venne subito infranto dal rumore dell’unghia del pollice di Arturo che, sbattendo contro il metallo della moneta, fece volare quest’ultima verso l’alto. Nel frattempo la busta delle preferenze diceva “lato b”: uomo vitruviano di Leonardo vincitore su un  più classico “lato 1 euro” con tanto di Europa come sfondo. Nessuno dei due ragazzi guardò i volteggi dell’agilissima moneta, che ricadde nella mano aperta di Arturo. Continuavano a fissarsi l’un l’altra. Poi entrambi sorrisero, proprio mentre un cameriere appariva tra di loro, ritirando le tazzine dei caffè appena bevuti. Arturo lo guardò e gli adagiò la moneta nella mano, senza mai guardarla. Il cameriere ringraziò e li lasciò di nuovo soli.
Bea scosse la testa e scoppiò in una piccola risata. Arturo la guardò con occhi sicuri, senza smettere di sorridere, poi si appoggiò di nuovo allo schienale della sedia e finalmente rispose.
“Oggi sì.”

Dentro il bar il cameriere intanto stava posando la moneta che aveva appena guadaganato, così come gli era stata data, con il “lato b”  verso l’alto.


Dal romanzo: "Dopo il punto cosa c'è". 2008. Alessandro Bruyère.

giovedì 12 luglio 2012

La strada


Il semaforo è rosso e mi fermo, esausto. Da sotto al sedile spunta un taccuino, ci segnavo il bello che trovavo. Lo apro cercandoci dentro qualcosa.  

La voce di De Andrè che rompe un melodioso silenzio. Il sorriso di un bambino che scopre qualcosa di nuovo;  e qualsiasi suo sorriso, poi. Due cani che non si sono mai visti prima e che giocano assieme. Quando trovi qualcosa che credevi perso. Una coppia di anziani mano nella mano.

E’ verde. Respiro. Riparto. Sorrido. Devo ricominciare a segnare, che con tutto il bello che c’è, è da pazzi non godersi la strada.   



Questo racconto partecipa al concorso "Massa città fiabesca di mare e di marmo VI edizione" per la categoria: racconto da max 100 parole.