mercoledì 3 luglio 2013

Ciao, stambecco


 

 

Camminavo da solo col mio zaino e i miei pensieri. La montagna sotto i piedi. Che buon sapore la beatitudine.

Poi ,al di là di un colle, un simpatico spavento. “Ciao, stambecco”. D’istinto estrassi il cellulare per fotografarlo.

Aspetta. Guardalo, fallo tuo. Respira questo momento. Se lo fotografi ti verrà in mente quando vedrai la foto. Se lo vivi, in mente lo avrai sempre. In ogni caso una foto la farai, sei figlio di quest’era folle. Ma ora è parte di te.

Lui rimaneva lì, brucava. Mi sembrò fare un cenno. “Ciao umano”. Sono parte di lui ora, in fondo.
 
 


Questo racconto partecipa al concorso "Massa città fiabesca di mare e di marmo VII edizione" per la categoria: racconto da max 100 parole.

martedì 28 maggio 2013

"Io faccio judo"


L’arbitro interrompe l’azione e io torno veloce al mio posto. Mi fermo un secondo, le mani sulle ginocchia a cercare un sostegno per il corpo ormai pesantissimo, il volto solleticato da un rivolo costante di sudore. Cerco aria nei polmoni, ma ne trovo troppo poca rispetto a quanta ne vorrei. Il cuore sembra voler uscire da dietro il petto, bruciandolo e  battendolo con colpi secchi e veloci; ritma una melodia frenetica. Sento distintamente la pelle dello sterno contrarsi ad ogni singolo battito. Due chiodi invisibili mi trafiggono gli avambracci e due tenaglie li stringono in una morsa portentosa. Mi volto verso il tabellone del punteggio sperando di leggere sul cronometro più secondi di quelli che invece effettivamente mancano alla fine dell’incontro. Dodici. Pochissimi. Sto perdendo. E manca troppo poco per recuperare. Lo sconforto che credevo di riuscire ad evitare invece arriva, mi acceca per un istante, mi porta volteggiando in giro per il palazzetto.
Voci, sguardi, applausi, fischi, urla, risate, pianti. Un vortice di immagini e colori che mi obnubila la mente.
D’istinto cerco un aiuto o un appiglio fuori dal tatami, provando per un attimo ad ingannarmi, fingendo di non sapere alla perfezione che tanto è la dentro che nei prossimi dodici secondi succederà qualcosa. E che là dentro ci siamo solo io e lui, io e il mio avversario,  per i prossimi dodici secondi.
Ma poi lo vedo nel marasma generale. E’ lì che sorride .Come sempre. Niente lo ha sconfitto.  Mi fa un cenno impercettibile, come a dire Dai. Come a dire Non è finita. Ce la fai. Provaci.

Magari me lo sto inventando. Ma magari invece ce la faccio sul serio. Sono ad un passo dalla qualificazione. Non posso mollare ora. Dopo tutto ciò che ho fatto per arrivare fin qui.

Un passo. Sorrido. Ci provo.

Compito in classe. Tema: “Parla del tuo personaggio preferito”.

Svolgimento: Il Sistema di qualificazione per le Olimpiadi di judo, è uno dei più difficili che ci sono. Con tantissime gare che si disputano negli ultimi due anni del quadriennio olimpico si forma una “ranking list”. I primi ventidue atleti di questa lista si qualificano per le Olimpiadi. Questa è la regola generale, poi ovviamente ce ne sono molte in più. La più brutta, secondo me, è che si può qualificare un solo atleta per nazione in ogni categoria. Il che può essere proprio una rogna, se per esempio in una nazione ci sono molti atleti forti! Al mio idolo è successo proprio così: lui è arrivato quattordicesimo e un altro atleta italiano è arrivato tredicesimo. Così invece di partecipare tutti e due alle Olimpiadi e poter entrambi dimostrare il loro valore, Francesco (si chiama così il mio personaggio preferito), che ha avuto anche delle sfortune, nonostante sia tra i pochi più forti del mondo non è potuto andare. Per me è un’ingiustizia!

Ho parlato con Francesco la prima volta durante il breve intervallo tra una allenamento di judo e l’altro, quando noi piccoli abbiamo finito il turno e scendiamo e i grandi si preparano a salire sul tatami. Che strano che si dica “salire” e “scendere” dal tatami. Per chi non sa che quello è un posto speciale, diverso da tutto il resto, è ancora più difficile da capire come concetto. Credo si dica “salire” e “scendere” perché lassù è un altro mondo. Lì, per esempio, il tempo è una cosa a parte: un allenamento può sembrarti durare un mese intero o solo una manciata di secondi.

Quel giorno proprio non riuscivo a non essere triste che fosse finito l’allenamento. Avevo vinto tutti i combattimenti che facciamo alla fine della lezione e sapevo che a casa  non sarebbe stata una serata allegra. La mamma aveva scoperto che avevo preso una nota perché mi ero azzuffato in classe (stavo difendendo una mia amica, ma alla maestra non interessava il motivo. I grandi pensano sempre di sapere più cose di noi piccoli, ma invece ogni tanto mi sembra proprio il contrario). Sono sceso per ultimo dal tatami visto che mi ci ero fermato per mettere a posto un paio di cose, e i grandi stavano per iniziare. Francesco era lì che rideva in mezzo agli altri ragazzi come se fossero tutti allo stesso livello, anche lui dico, ma lui invece è un super campione, per quello è il mio idolo. L’ho salutato come faccio sempre , lui mi ha porto la mano per battere un  cinque e io l’ho fatto con tutta la forza che avevo per fargli vedere quanta ne ho. E’ rimasto sorpreso! “Wow, che forza!!” ha esclamato, e subito dopo mi ha detto: “Fammi sentire i muscoli”. Io ho piegato il braccio, stringevo così tanto che il kimono mi pizzicava la pelle e ho contratto i muscoli il più possibile, quasi tremavo dallo sforzo. Lui ha schiacciato il mio bicipite con le sue mani enormi e bitorzolute e ha fatto un urlo facendo finta di farsi male alla mano. Abbiamo riso tutti e due e lui facendomi l’occhiolino mi ha detto: “L’ultimo che scende dal tatami o è il più pigro, o è quello che ha più voglia di tutti.” Io gli ho detto solo che sono tutto fuorché il più pigro e lui mi ha dato un pugno (ma piano, se no finivo per terra) sulla spalla e mi ha detto: “E’ così che si diventa forti”. Io ho preso coraggio e ho risposto: “Come te?” Lui allora ha toccato il suo bicipite, ha ritoccato il mio, e andando verso il tatami se no arrivava in ritardo ha detto: “Beh, di più, speriamo!” Poi mi ha salutato ed è salito.

Io volevo dirglielo però l’ho solo pensato, perché non ho colto l’attimo, ma è impossibile: nessuno può essere più forte di lui.

Piano piano io e Francesco siamo diventati ottimi amici. Ogni tanto arriva all’ accademia un po’ prima che inizi il suo allenamento e allora sta lì con i ragazzi a guardare la nostra lezione. Io quelle volte ci metto tutta l’energia che ho, perché spero che stia guardando me e che veda quanto sono forte!
Mamma e papà lo sanno che è lui il mio idolo. Perché in casa, sul comodino di fianco al letto, ho una foto di me e Fra (i suoi amici lo chiamano così, e io sono suo amico, me l’ha detto lui) che qualcuno ci ha scattato durante uno stage in cui lui era l’ospite d’onore. Ha spiegato un sacco di cose bellissime quel giorno e poi ha anche combattuto con noi! Se c’è una volta in vita mia in cui ho tirato fuori tutto quello che avevo in corpo è stata proprio quella volta lì. Ci sono delle volte in cui ti alleni e alla fine senti che dentro hai ancora tanto da dare e allora non sei soddisfatto. Ho anche fatto qualche garetta, quelle per bambini, non le Olimpiadi o cose del genere, e anche lì ci sono delle volte in cui finisci l’incontro e magari hai perso, ma sai che potevi dare molto di più. Però non l’hai fatto e non sai neanche tu perché. Ecco, quella è la sensazione più brutta che c’è. Se perdi l’incontro ma ci hai provato fino in fondo, con tutto te stesso, certo, sei arrabbiato perché hai perso, ma almeno non hai il rimorso di non averci provato davvero. Quello che potevi fare l’hai fatto, e nessuno può vincere sempre. Se penso che anche Francesco ha perso degli incontri vuol dire che allora perdere è normale in una disciplina in cui ci si mette continuamente in gioco. Se no dove sarebbe il divertimento? Quella volta, quando ho combattuto con lui dando tutto quello che avevo in corpo, ho deciso che in gara dovrò sempre fare così, se poi vincerò o perderò sarà un altro paio di maniche!

Questa cosa l’ho anche detta a Francesco e lui era contento di sentirla. E’ successo quella volta che mi ha parlato dei sogni. Non ricordo bene le parole esatte, ma mi aveva chiesto qual era il mio sogno nel cassetto. Io non ho capito subito e lui per spiegarmi mi ha detto che il suo era riuscire a qualificarsi per le Olimpiadi. Mancava poco alla fine dell’iter di qualificazione (lui lo chiamava così), forse una gara sola. Allora io ho capito che un sogno nel cassetto è un traguardo che vuoi riuscire a raggiungere a tutti i costi. Anche per me sono le Olimpiadi quel traguardo, ma mi vergognavo a dirlo. Allora gli ho detto che per ora il mio sogno nel cassetto è qualificarmi ai campionati italiani, quando potrò farli. Poi però lui sorrideva e stava zitto e allora gli ho detto qual era davvero. “Bravo.” Ha detto. “Sogna in grande, ma un passo alla volta! Ognuno ha i suoi obbiettivi, ognuno per chi è e per ciò che fa. Il bello è cercare di raggiungerli tutti!”. “E se uno non ce la fa?” ho chiesto io. “Ho detto cercare di raggiungerli, non raggiungerli per forza.” ha risposto lui, sorridendo come sempre.

Conclusione: Il mio idolo, che si chiama Francesco e fa judo, è un super campione fuori e dentro dal tatami. Sfortunatamente per tante circostanze tutte incastrate e regole che io odio, anche se ha raggiunto il suo più grande obbiettivo ed è rientrato in quella lista dei più forti del mondo, non ha toccato il suo sogno. Ma questa cosa non l’ha abbattuto e lui è rimasto innamorato del judo e sorride sempre, come se avesse fatto le Olimpiadi. Credo che sia così perché sa che ci ha provato fino alla fine, non ha mai mollato, e non ha rimorsi.

Un passo. Sorrido. Ci provo.
A qualche anno da quei discorsi con Francesco, se vinco questo incontro mi qualifico per i campionati italiani.  E’ il mio sogno, e comunque vada voglio essere come lui, nulla mi sconfiggerà.







Questo racconto partecipa al concorso letterario "TORINO, STORIE AL TRAGUARDO" indetto dall'Associazione Fare Insieme Onlus.

 

domenica 24 marzo 2013

Non molliamo

Si è vero, due giorni infiniti di gara. Migliaia di combattimenti e stanchezza e mal di schiena e pacche sulle spalle e strette di mano e cazziatoni e sorrisi e pianti ed esultanze e gioia e noia. E occhiatacce e giudizi e errori arbitrali e grandi ippon e qualche sporcata. E regole nuove che non si sanno e regole vecchie e interpretazioni folli del nuovo regolamento. E premiazioni e ritardi e inf...ortuni e nomi storpiati. E vittorie e sconfitte. Entri in un palazzetto alle nove del sabato mattina e ci esci alle nove della domenica sera, praticamente. Meno male che ci sono i panini, anche se costano un sacco, e il caffè. E i gadgets e chi scrive le cinture. È vero, due giorni infiniti di gara. Ma quando ti giri durante il riscaldamento la domenica mattina e vedi otto tatami, otto, pieni zeppi di giovani judoka che si riscaldano emanando nell'etere quel misto di euforia eccitazione ed agitazione che solo loro sanno emanare, beh, sorridi. E pensi, dai, che ce la facciamo. Non molliamo, Italia del judo. Forza! Cambia tutto. I regolamenti, gli staff tecnici, i nomi famosi, quelli non famosi. Ma fa parte del gioco, che si condividano i cambiamenti o no. Insegniamo quello, ai nostri giovani judoka. Qualsiasi cosa succeda, che si vinca o si perda, non si molla mai. Così, come riempiono quegli otto tatami quei settecento piccoli guerrieri. Vicini gli uni agli altri. Tutti rivali, è vero. Ma, come diceva chi ha inventato la nostra passione, tutti insieme.



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martedì 29 gennaio 2013

It's a long way to the top if you wanna rock'n'roll.


“Si preparino, al tatami due…”.

Quante volte l’abbiamo sentita, tra tutti noi imbarcati in questa nuova avventura, questa frase. E in quante lingue, e i in quanti posti, e in quanti modi.

Il momento in cui finalmente tocca a te.

Un piede su quel quadrato colorato, e tutto il resto non esiste più. Ogni singola volta un’emozione che chi non l’ha provata non può capire.

Poi, per un motivo o per un altro, decidi, o sei costretto a decidere, che quella frase non la sentirai più. Ma lei rimane lì,  ti riecheggia dentro. Assieme a quelle voglia che hai sempre avuto, la voglia di provarci, di metterti in gioco. Di combattere.

Che chi nasce guerriero, non può morire schiavo.

E così eccoci qua. Tocca di nuovo a noi.

Un nuovo combattimento, una nuova gara. Una nuova strada. Diversa da quelle che sempre abbiamo percorso. Che è così, in fondo, no? Il primo piede su quel tatami è sempre il primo passo di un nuovo viaggio. Siamo di nuovo lì, hanno chiamato il nostro nome.

Si prepari al tatami 1, l’Accademia Torino.

Ci siamo. Si comincia. Si parte. Allacciamo le cinture… in tutti i sensi!

Che sia in salita, questo nuovo viaggio.

Che sia sudore, e fatica. Acciacchi e sfuriate. Che sia serietà e professionalità. Ma che sia anche sorrisi, e risate, e divertimento.

Che sia disciplina e allo stesso tempo… rock’n’ roll. Si può fare, credeteci. Nulla è impossibile, se lo si vuole davvero.

Che sia judo.

“It’s a long way to the top, if you wanna rock’n roll.”

 
 
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