mercoledì 22 ottobre 2014

IGEI, storia di un drago che faceva judo




INCIPIT



Per trovare il protagonista di questa storia non dobbiamo guardare verso quel gruppetto di draghi colorati che ridono vicino al cancello della scuola, ma dobbiamo invece puntare  lo sguardo verso il viale alberato che dalla scuola porta verso la  città. La cosa potrebbe apparire un po’ strana, ma eccolo lì, che corre con lo zaino in spalla e una borsa da palestra a tracolla; è proprio lui. In effetti non sembrerebbe proprio un draghetto protagonista. A dire il vero non sembrerebbe neanche un drago, ma piuttosto qualcos’altro.  Farà sorridere, ma si potrebbe dire che assomiglia ad un pollo. Ci si chiederà come possa essere lui, un drago che assomiglia ad un pollo, goffo e buffo, bianco e non verde, con quel musone giallo acceso che sembra un grosso becco più che delle fauci aggressive sputa fuoco.
Ma come si sente sempre dire, le apparenze ingannano.
Si chiama Igei , quel draghetto. Dentro la borsa a tracolla ha un kimono che gli serve per fare judo, e la sua è una di quelle storie che vale davvero la pena raccontare.






CAPITOLO UNO


Fino a poco tempo fa era un drago diverso da quello che oggi vedete farsi sempre più piccolo man mano che corre sorridente verso l’orizzonte. Non diverso fuori, che fuori conta poco, ma diverso dentro. Fino a poco tempo fa, in fondo, non aveva ancora conosciuto il maestro Gei Do.
Il giorno che l’ha incontrato per la prima volta non poteva immaginare quanto la sua vita sarebbe cambiata da quel momento in poi. Stava tornando da scuola, come tutti i giorni da solo e sconsolato, mentre tutti gli altri draghetti erano lì vicino che ridevano  e giocavano ad inseguirsi nel tentativo di pestarsi la coda. Qualcuno cominciava già a far fumare le grosse narici, i più grandi riuscendo anche a sputacchiare piccole palle di fuoco.
Igei rimaneva un po’ lì fuori da scuola ogni giorno alla fine delle lezioni, nella speranza che qualcuno volesse giocare con lui. Però spesso si accorgeva che invece di ridere con  lui i draghetti preferivano ridere di  lui (e c’è una grossa differenza). Specialmente quando i più grandi mimavano le sue movenze goffe o il suo musone giallo. Quando alla fine cominciavano ad imitare un pollo urlando “Chi sono??” per sentirsi rispondere in coro “Igei, il dra-pollo!!!”, lui sorrideva forzatamente per tentare di fare vedere che stava al gioco e non si stava offendendo, e dicendo che era tardi si incamminava verso casa.
Davvero in pochi sapevano quanto simpatico e brillante fosse in realtà Igei e quanto piacevole fosse passare del tempo con lui. Era troppo divertente per i draghetti che frequentavano la sua scuola prenderlo in giro, per porsi il problema. Lui però li capiva, e non faceva altro che rassegnarsi all’idea che forse avevano ragione loro.
Ed era lì quel giorno, si diceva, lungo quel viale alberato che dalla scola porta alla città, quando aveva notato al bordo della strada un drago anziano che sembrava in difficoltà con una grossa borsa. Fermo sul primo gradino di una scala che conduceva all’entrata di una piccola e curiosa casa, l’anziano drago osservava la borsona, apparentemente sopraffatto dall’enorme peso che questa sembrava avere.
Igei gli si era avvicinato senza pensarci, con naturalezza, e afferrando la borsa, dopo aver provato con difficoltà a sollevarla, aveva detto educatamente:
“Lasci che la aiuti con questo macigno.”
Il drago anziano aveva sorriso senza girarsi e a Igei era parso che avesse detto qualcosa come: “eccoti qui”.
“Come?” aveva chiesto il giovane drago.
“No, grazie infinite.” aveva risposto il vecchio. Poi aveva alzato lo sguardo, lo aveva incastrato con decisione a quello di Igei e aveva continuato:
“Tre draghi giovani e robusti sono passati. Il primo non mi ha visto. Il secondo si è preso gioco di me. Il terzo ha onorato uno dei principi più belli e importanti del mondo: la gentilezza.”
Poi come se niente fosse aveva tolto la pesante borsa dalla zampona di Igei, se l’era caricata con facilità sulle spalle piegando sapientemente le zampe posteriori, e aveva sentenziato:
“Anche ciò che sembra troppo pesante ha un modo per essere sollevato. Che sia una borsa, una nave, o un grande peso dentro di noi.”
Igei lo aveva guardato inarcando le sopracciglia, senza trovare le parole giuste per rispondere allo strano e affascinante personaggio che aveva davanti.  A quel punto il vecchio drago aveva fatto una specie di composto inchino e senza nessuna fatica aveva percorso i gradini che lo separavano dalla porta della sua strana casa, dove dopo un attimo erano spariti lui e la sua borsa.

Igei aveva scrollato il muso perplesso, sollevato le spalle e senza dire nulla aveva ripreso il suo tragitto verso casa. Ora finalmente aveva qualcosa di nuovo a cui pensare.





Ecco l'incipit e il primo capitolo del nuovo libro di Alessandro Bruyère, una storia dedicata al judo e al bambino che c'è in ognuno di noi.

giovedì 17 aprile 2014

La bontà el caffè

Se mi trovassi a prendere un caffè con Socrate, i e lui seduti allo stesso tavolino, lo guarderei negli occhi (è importante guardarsi negli occhi quando si prende il caffè) e mentre giro lo zucchero gli direi...

"La storia del so di non sapere... è molto affascinante, non c'è che dire." Lui probabilmente sorriderebbe compiaciuto e berrebbe il suo caffè. "Ma c'è qualcosa che non mi convince" continuerei. "Buono?" gli chiederei poi, continuando a guardarlo negli occhi. (E' negli occhi che si legge la verità delle parole). Sia ad un sì, che ad un no,che ad un non lo so, risponderei che per me lo è, infinitamente. "Vedi?" direi. "Il calore di un sorriso, la bellezza di un quadro, le emozioni di un libro, la bontà del caffè. C'è qualcosa che so, nel momento in cui lo vivo." Sorrideremmo entrambi, godendo del nostro caffè.



Questo racconto partecipa al concorso "Storie di caffè". Lo si può votare dal sito http://www.storiedicaffe.it/storie?story=94

venerdì 21 marzo 2014

Il buongiorno si vede dal mattino

Mi ero da poco da poco trasferito nella nuova casa, e una mattina scesi per andare al bar e prendere un caffè. C'era un po' di gente, così aspettai qualche secondo. Appena mi sembrò che il barista fosse libero mi feci avanti....

"un caffè, per favore." gli chiesi al volo,domandomi quanto buono sarebbe stato. L'aroma permeava l'aria e conquistava i sensi. "1 euro e 50" mi disse il barista, appoggiando con gesti precisi la tazzina sul piattino che l'aspettava. Mi sorpresi del prezzo , e lui lo notò. Mi fece l'occhiolino e indicò con lo sguardo il cartello alle sue spalle: "1 caffè:2 euro-1 caffè per favore:1.50 euro-buongiorno mi fa un caffè per favore:80 cent." Sorridemmo divertiti entrambi. "Benveuto" mi disse porgendomi la mano. La strinsi, e stetti bene. Le giornate della mia nuova vita sarebbero inizate deliziosamente.


Questo racconto partecipa al concorso "Storie di caffè". Lo si può votare dal sito http://www.storiedicaffe.it/storie?story=94

giovedì 20 marzo 2014

Come l'acqua del fiume

Questo articolo è stato scritto per l’Angolo dell Cultura, rubrica del judo piemonte, ed è pubblicato sul sito internet: www.judopiemonte.it

Periodo travagliato, questo inizio 2014. Il judo della Fijlkam e dell’Ijf ha cominciato l’anno in quarta e viaggia ad alti ritmi sia a livello planetario che nazionale, costellato da innovazioni e cambiamenti. E da che mondo è mondo, le innovazioni e i cambiamenti fanno notizia e suscitano interesse.
In rete, quel filo invisibile che ormai collega tutto e tutti, un qualsiasi judoka curioso e innamorato della sua disciplina può facilmente leggere migliaia di notizie su nuovi regolamenti e nuovi criteri di scelta e nuovi metodi e chi più ne ha più ne metta.
Inevitabilmente ogni singola notizia crea scalpore e trova seguaci contenti e oppositori critici, ognuno pronto a commentare positivamente o negativamente, ed ognuno a modo suo. Diventa così facile, a quel punto, esagerare in una o nell’altra direzione, sfociando nel sempre dannoso “troppo”.
La cosa bella è che il judo, anche se costantemente sconvolto, preso e rimescolato riesce a rimanere sempre e comunque quell’unica “Via” che i suoi ideogrammi raccontano: laVia della cedevolezza, della gentilezza. E allora come l’acqua che si adatta ad un letto di un fiume che alle volte diventa troppo tortuoso, il judo scorre sui cambiamenti e le critiche e i complimenti e le innovazioni e continua la sua corsa, rimanendo nella sua sostanza più intima sempre Judo. E la cosa ancora più bella è che riesce ad essere quella stessa Via in tutti gli ambiti e a tutti i livelli, muovendosi in egual maniera in ogni ambito e ad ogni livello.
Ricordiamo in queste righe che il Judo ha mille sfaccettature, ai nostri tempi rappresentate da più federazioni e comitati e associazioni, e che in questa sede i nostri riferimenti vanno a cadere su una determinata fascia della nostra disciplina. Generalizzare non porta mai a nulla di buono e farlo riguardo ad un concetto così ampio e con una tradizione così importante come il Judo sarebbe oltraggioso.
Questo solo per ricordare (per non mancare di rispetto a nessuno e per non toccare argomenti che non si possono conoscere a fondo)  che la nostra Fijlkam e la nostra Ijf sono una parte della disciplina che Jigoro Kano il secolo scorso decise di fondare, una delle diramazioni di quell’unica Via, e che al di là di faccende  che esulano dalla nostra competenza come il riconoscimento da parte del Coni o il grado di agonismo chiamato in causa, è semplicemente quella che nel caso specifico ci riguarda direttamente.
Ritornando dopo questa breve puntualizzazione d’obbligo all’argomento di cui si trattava, analizzando il concetto ci si potrebbe domandare da dove derivi questa peculiarità del judo, il suo sapersi adattare alla tortuosità del letto del fiume. Ed è questa domanda a fornirci lo spunto per ripercorrere la Strada a ritroso e arrivare alle sue origini, per conoscerla ancora meglio o anche solo per mera curiosità.
Quasi tutti noi ormai sappiamo che  secondo un’antica leggenda il principio del ju-jitsu, poi trasmesso al judo, del valore della flessibilità fu intuito da Akiyama Shirobei Yoshitoki, un medico e maestro giapponese che guardando la neve cadere sui rami degli alberi notò che i rami di quelli rigidi e possenti, come la quercia, si spezzavano sotto il peso della neve che piano piano si accumulava, mentre i rami sottili e elastici, come quelli del salice, si piegavano sotto il peso della neve facendola scivolare via, senza farsi rompere né curvare.
Ma questa affascinante storia richiama principi ancora più antichi che permeano la tradizione giapponese.
Lao Tzu, il fondatore del taoismo, scriveva:
quando nasce, l’uomo è tenero e debole, quando muore è rigido e forte. Rigidità e forza accompagnano dunque la morte, morbidezza e debolezza accompagnano la vita.
Non è così comune essere al corrente che il taoismo, nato e diffuso in Cina, ha influenzato notevolmente l’aspetto filosofico/religioso (difficile scindere i due campi in questo caso) della cultura giapponese. Il buddismo Zen, branchia del Buddismo giapponese e perno irremovibile di questa cultura, essendosi diffuso nella Cina taoista ha assorbito un imprescindibile concetto che tutt’ora accumuna le due correnti e che in questa breve analisi scopriremo e analizzeremo:
quello del wu-wei, la non-opposizione, il segreto di dominare le circostanze senza opporvisi, base del filastroccante wei-wu-wei, concetto traducibile come azione senza azione, agire senza sforzo.
Per lo Zen infatti la vita si muove troppo rapidamente perché ci si possa accostare per tentativi. Mentre ci si prepara faticosamente a raggiungere il Risveglio, la verità immediata continua a scorrere via. Metaforicamente  il discepolo Zen viene contrapposto a chi indugia sulla riva del fiume domandandosi quale sia il modo migliore di tuffarsi, sentendo la temperatura dell’acqua e chiedendosi come ci starà poi dentro, abituandosi a procrastinare le cose. Egli deve piuttosto camminare tranquillo fino al margine del fiume e lasciarvisi scivolare con calma, senza darsi il tempo di avere timori su ciò che sarà, o di trovare scuse per non buttarsi subito. Senza opporsi alla corrente, ma sfruttando la sua spinta per continuare il proprio percorso.
E questa mancanza di opposizione, questo lasciarsi  trasportare dal fiume della vita viene dal wu-wei citato prima.
Se lo scopo del  wu-wei nel taoismo è quello di mantenere l’uomo in armonia con la natura e con il Tao, in perfetto equilibrio affinché il mondo segua la sua naturale evoluzione e nello Zen è quello di imparare a muoversi con la vita senza cercare di interrompere il suo scorrere, nelle arti marziali sarà l’imparare a non contrastare la forza dell’avversario con la propria, ma a sfruttare quella forza per far cadere il proprio opponente. Il principio del nostro Judo, insomma. Do: Via. Ju: cedevolezza, morbidezza, adattabilità. Judo: La Via della Cedevolezza.
Non ci si sorprenda quindi, se il Judo riesce in ogni caso ad adattarsi a tutti gli sconvolgimenti che piano piano subisce. Fa parte della sua natura. Proviamo a imparare dalla nostra disciplina, in mancanza di altre soluzioni davanti alla effettiva perentorietà di alcune situazioni e decisioni,  a continuare comunque il nostro percorso, senza opporci troppo a scelte che purtroppo non dipendono da noi. Ovviamente ognuno ha il diritto di dire la sua e di manifestare il proprio disappunto in qualsiasi ambito. Ma le critiche non costruttive lasciano un po’ il tempo che trovano, e il tempo scorre in fretta, come l’acqua di un fiume.
Siamo judoka, dopotutto.

Ok, di concetti astrusi e parole strane ne abbiamo scritte abbastanza per questa volta, vi saluto e do appuntamento a chiunque fosse interessato e incuriosito alla prossima volta per scoprire il secondo concetto che il judo ha ereditato dal Buddismo Zen influenzato dal Taoismo e che rende la nostra disciplina una meravigliosa metafora della vita: il satori.

Alessandro Bruyère