mercoledì 23 novembre 2016

Studente e judoka

Studio e Sport, connubio possibile.

Mi chiamo Alessandro Bruyère, sono insegnante tecnico di judo del Gruppo Sportivo delle Fiamme Azzurre, per il quale ho combattuto per tanti anni. Ho avuto l’onore di vestire i colori della Nazionale Italiana ed ho fatto del judo la mia vita. Questa disciplina meravigliosa permea oggi per intero la mia quotidianità.

Sia il judo che i miei genitori mi hanno sempre insegnato che, sbilanciandosi troppo, inevitabilmente, si cade e che per trovare equilibrio occorre bilanciare. Ho dunque ricercato nello studio il mio contrappeso alla disciplina sportiva.

Finito il liceo, ho deciso iscrivermi all’Università di Lettere e Filosofia. Pur con qualche ritardo, posso dire di aver completato il mio corso di studi e di potermi orgogliosamente fregiare del titolo di dottore in Filosofia.

E’ dunque impossibile conciliare sport e studio? Evidentemente no. E’ facile? Nemmeno, in tutta sincerità.

Sul tatami ho imparato che una cosa difficile non è altro che un limite il cui superamento prevede una sfida con se stessi. Se l’atteggiamento è positivo tutto diventa raggiungibile. E la difficoltà del percorso non fa che rendere ancora più soddisfacente la meta.

Ma come coniugare la scuola superiore o il percorso di studi universitario con la pratica sportiva, considerando i sacrifici che richiedono?

E’ innegabile che i tempi cambino e che la società sia in continuo mutamento. Lo sport conquista spazio nella vita dei ragazzi, sponsorizzato e divulgato incommensurabilmente dalla tv satellitare, da internet, dai social network.

Per molti, purtroppo, la conquista resta virtuale, per altri, invece, diventa fattore centrale della vita che porta ad aspirare a diventare un campione, ad essere uno sportivo di fama internazionale, a coltivare il sogno di una vittoria olimpica.

La recenti medaglie di Rio conquistate da Fabio Basile e Odette Giuffrida hanno dato una scossa di grande energia al movimento del judo italiano, amplificando l’impegno ed il desiderio di successo di tanti ragazzi che, in maniera quasi tangibile, hanno potuto percepire quella sensazione trionfale.

Ma la vita di tutti i giorni richiama poi all’ordine. “Maestro, stasera non ci sono chè domani ho una verifica a scuola”, “Ho un’ esame all’Università”. Quante volte in una stagione si sentono queste frasi. Quante volte le ho pronunciate io stesso.

Sembra di trovarsi ogni volta di fronte ad un bivio. Che strada percorro? Qual è la scelta più giusta?

Indubbiamente il vero judoka, come ogni vero atleta, inconsciamente sa già dove vorrebbe andare. La vita reale, tuttavia, disciplinata da una coscienza matura o dai consigli dei più esperti genitori, invita ad evitare di adottare scelte impulsive. Si perderebbe forse l’equilibrio. Ci sono strade, infatti, che non si possono percorrere a ritroso.

Arriva infatti quel giorno in cui ci si accorge che è troppo tardi per studiare e che i sogni non dipendono solo più da noi ma da come necessariamente va il corso degli eventi. Ci si rammarica di non aver tenuto più le porte aperte, di non aver imboccato contemporaneamente, anche se più faticosamente, l’una e l’altra strada.

In questo panorama diventa senza dubbio condizionante il ruolo di genitori, allenatori e istituzioni.

Il confine tra il sostegno e il divieto diventa davvero sottile e quasi si confonde. La difficoltà maggiore sta nel cercare di convincere l’atleta a dedicarsi allo studio, non senza trascurare lo sport. O viceversa.

Purtroppo tra famiglia e allenatore è frequente vi sia un rapporto conflittuale dato dalla diversa direzione nella quale si vuol orientare il ragazzo. Ci si dimentica che il futuro equilibrato di questi dipende proprio dalla  capacità di armonizzare le direttive delle figure che lo seguono e lo spronano.

È dunque auspicabile si trovi un punto di incontro tra le società sportive, le famiglie e la scuola. Questa sinergia pare essere la soluzione ideale affinchè si radichi la consapevolezza che il raggiungimento del successo in ambito sportivo non può prescindere, ed anzi, si alimenti dei successi ottenuti nello studio.

Ciò che conta è aiutare il ragazzo ad acquisire un metodo generale di approccio alle cose che possa  condurlo autonomamente a trovare il giusto equilibrio nella vita e a capire in che modo potersi dedicare contemporaneamente allo studio e alla disciplina sportiva. Ovunque arrivi quel ragazzo, lo farà coscienziosamente, con le sue forze, sicuro di sé, senza mai perdere l’equilibrio.

L’appoggio delle istituzioni, infine, completa il quadro. La Circolare Ministeriale n. 20 del 4/3/2011 e il DPR n. 122/2009 (Validità dell’anno scolastico per la valutazione degli alunni nella scuola secondaria di primo e secondo grado) emanata dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca Dipartimento per l’Istruzione, Direzione Generale per gli Ordinamenti Scolastici e per l’Autonomia Scolastica, traccia un solco normativo alla coniugazione tra studio e sport e pone l’attenzione sulle assenze scolastiche per motivazioni sportive.

L’articolo 14, comma 7 della C.M. e gli artt. 2 e 14 del DPR [nota n. 1 in allegato] evidenziano come come siano previste dalla scuola secondaria di primo e secondo grado delle deroghe al limite delle assenze  (obbligatori tre quarti di presenza del monte ore annuale), se documentate e continuative. E a condizione che tali assenze non pregiudichino la possibilità di valutare gli alunni interessati. Tra le casistiche apprezzabili ai fini delle deroghe vengono citate proprio le assenze dovute a: partecipazione ad attività sportive e agonistiche organizzate da federazioni riconosciute dal C.O.N.I.

A completamento della sopracitata Circolare Ministeriale si aggiunge la nota n. 2065 del 2 marzo 2011, con oggetto: D.P.R. 22.6.2009, n. 122 – Numero massimo assenze annuali e svolgimento pratica sportiva agonistica, dove si legge:

Non si tratta di un principio assoluto riducibile ad un mero accertamento aritmetico ma di disposizioni che mirano a contrastare comportamenti ascrivibili a disimpegno dalla vita scolastica. Sono infatti previste delle deroghe motivate in rapporto alle cause che hanno determinato le assenze e che debbono essere oggetto di attenta valutazione da parte dei consigli di classe, fermo restando che debbono comunque sussistere elementi di giudizio sufficienti per la valutazione degli apprendimenti degli alunni.”

(Per le assenze dovute allo svolgimento della pratica sportiva agonistica si rimanda alla nota n. 2065 del 2 marzo u.s., richiamata dalla Circolare del M.I.U.R.)

Leggendo attentamente sia la Circolare Ministeriale che la nota citata, ci si accorge di come anche il Ministero dell’Istruzioni sposi l’idea della ricerca di un giusto compromesso, che non penalizzi gli atleti ma che garantisca in ogni caso un corretto approccio al percorso di studi. Il richiamo alla “attenta valutazione dei consigli di classe” è la clausola che lascia aperta la questione e rimanda al buon senso e all’ampiezza della visione di chi ha il coltello dalla parte del manico.

Lo sforzo, dunque, deve avvenire da parte di tutte le figure coinvolte nel progetto: ragazzo, genitori, struttura sportiva, istituzioni. Se l’obiettivo è chiaro e comune e se si arriva a capire che il miglioramento di un singolo individuo determina il miglioramento dell’intera società, allora il raggiungimento di quell’obiettivo non solo non è impossibile, ma diventa la scelta migliore.

Lo stesso Jigoro Kano, il fondatore del judo, professava due principi: il “miglior uso dell’energie” e il “tutti assieme per progredire”, convinto che tramite l’educazione scolastica e il judo ogni individuo potesse migliorarsi ed accrescere il suo spirito, migliorando di conseguenza la società.

In quest’ottica diventa possibile non solo percorrere le due diverse strade, ma anche farle coincidere. I due diversi percorsi si intrecciano senza soluzione di continuità, arrivando a formarne uno unico e più completo.

Personalmente, ho cercato di farlo, arrivando a scegliere come tesi di laurea un argomento che fosse lo specchio della mia vita e della mia “strada”. Ho cercato di intrecciare il mio percorso di studi con il judo e ho capito che l’elemento in comune non era altro che il filo di Arianna che ci ha portato fin qui: la Via di ognuno di noi.

Ho analizzato il concetto di Via ed ho scritto una dissertazione dal titolo: La Via è sotto i piedi. Analisi del concetto di Via nel Buddhismo, nello Zen e nelle arti marziali.. La Via è l’argomento, il judo - la via della cedevolezza - il punto di arrivo.

E’ stato un koan Zen ad ispirare la mia tesi, una sorta di precetto dei monaci Zen che non ha soluzioni definitive e sul quale loro meditano, cercando di scoprirci all’interno la miglior interpretazione. E’ un koan che si inserisce perfettamente nel discorso fatto fin qui ed esalta il pensiero che in fondo dipende tutto da come ognuno di noi decide di indirizzare la propria vita e con il quale concluderò questa trattazione, sperando possa regalarvi ciò che ha regalato a me:

 “La via è sotto i vostri piedi”.

Alessandro Bruyère

 

Nota 1:

L’articolo 14, comma 7, del Regolamento prevede che “le istituzioni scolastiche possono stabilire, per casi eccezionali, analogamente a quanto previsto per il primo ciclo, motivate estraordinarie deroghe al suddetto limite [dei tre quarti di presenza del monte ore annuale]. Tale deroga è prevista per assenze documentate e continuative, a condizione, comunque, che tali assenze non pregiudichino, a giudizio del consiglio di classe, la possibilità di procedere alla valutazione degli alunni interessati”.

Spetta, dunque, al collegio dei docenti definire i criteri generali e le fattispecie che legittimano la deroga al limite minimo di presenza. Tale deroga è prevista per casi eccezionali, certi e documentati. È compito del consiglio di classe verificare, nel rispetto dei criteri definiti dal collegio dei docenti e delle indicazioni della presente nota, se il singolo allievo abbia superato il limite massimo consentito di assenze e se tali assenze, pur rientrando nelle deroghe previste dal collegio dei docenti, impediscano, comunque, di procedere alla fase valutativa, considerata la non sufficiente permanenza del rapporto educativo.

Ad ogni buon conto, a mero titolo indicativo e fatta salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche, si ritiene che rientrino fra le casistiche apprezzabili ai fini delle deroghe previste, le assenze dovute a:

gravi motivi di salute adeguatamente documentati;
terapie e/o cure programmate;
donazioni di sangue;
partecipazione ad attività sportive e agonistiche organizzate da federazioni riconosciute dal C.O.N.I.;
adesione a confessioni religiose per le quali esistono specifiche intese che considerano il sabato come giorno di riposo (cfr. Legge n. 516/1988 che recepisce l’intesa con la Chiesa Cristiana Avventista del Settimo Giorno; Legge n. 101/1989 sulla regolazione dei rapporti tra lo Stato e l’Unione delle Comunità Ebraiche taliane, sulla base dell’intesa stipulata il 27 febbraio 1987).
 

scritto il 23 nov 2016 

mercoledì 8 giugno 2016

Uno spettacolo magico




E’ il 27 maggio 2016, un caldo venerdì sera primaverile. Sono le 20.30 e le luci della sala polivalente del teatro Operti di Torino piano piano si spengono. Sul palco qualche sedia, delle chitarre, un tatami e un paravento. Sullo sfondo la scenografia colorata a matita da esperte mani di bambino. In platea genitori, parenti, fratellini e cuginetti. Gli attori sono i bambini della 3° D della scuola elementare Carlo Casalegno di Torino e stanno per dar vita ad uno spettacolo che ricorderò per tutta la vita.
Ammetto che quando scrivevo le pagine del libro “Igei, storia di un drago che faceva judo” fantasticavo oltre che sulle avventure del draghetto Igei anche su future rappresentazioni della storia che stavo creando. Ma non so quanto ci credessi sul serio. Pensavo a spettacoli teatrali, ad attori adulti ma anche a mini bravissimi attori. A ipotetiche scenografie e ipotetiche sceneggiature.

La realtà alle volte supera la fantasia.

L’idea venne ad Immacolata Calabrese, la mia prima maestra di inglese, proprio lì, alla scuola Casalegno, decine di anni fa. Un grandissimo affetto, che perpetua nel tempo. Mi contattò, complice la mia mamma, e mi chiese di incontrarci, aveva qualcosa da propormi.
Conobbi ad una mini riunione Davide Fratta, il maestro di musica, e Petrizia Antonia Ioghà, la maestra di italiano e storia che si occupa delle recite dei bimbi e del laboratorio teatrale.
Hanno letto il libro e li ha entusiasmati, vorrebbero farne uno spettacolo. La 3° D è una classe incredibile, hanno già fatto altre recite e si sono innamorati del libro.
Bello. Bellissimo. Se mi piace l’idea? Mi fa impazzire. Sarebbe davvero meraviglioso.
Davide emana professionalità ed è un vulcano di idee, Petrizia di entusiasmo e di bene per i suoi bimbi. Immacolata precisa , lucida e positiva, ha una visione molto chiare su ciò che lo spettacolo potrebbe essere. Sono un team perfetto, chissà, potrebbe davvero venirne fuori qualcosa di bello.

Beh, ne è venuto fuori qualcosa di magico.

Davide Fratta si è occupato non solo dei testi, ma anche delle musiche originali. 10 tracce cantate e musicate dai bimbi, che il maestro ha poi racchiuso in un cd che ha regalato agli spettatori. Petrizia Ioghà si è occupata della scenografia, del coordinamento della classe e della parte teatrale del tutto. Entrambi si sono dedicati alla regia. Io ho dato un piccolo contributo mostrando ai bimbi qualche gesto, le cadute, proiezioni basilari, che loro hanno trasformato in incantevoli movimenti per il teatro delle ombre. Già, perché il palco è diviso in tre settori. Sulla destra una parte dedicata ai musicisti, in centro lo spazio dedicato alla recitazione vera e propria, sulla sinistra un romantico separé con un faretto che lo illumina da dietro, proiettando le ombre degli attori e trasformandole in eleganti attrici.
spettacolo tetarale igei storia di un drago che faceva judo
I bambini si alternano: una scena fanno parte del gruppo dei musicisti, una scena fanno parte degli attori, una scena parte delle ombre. Tutti fanno tutto. Nessuno è diverso dagli altri, c’è spazio per tutti e il tutto funziona solo con le performance di ogni singolo bambino/attore. Tre scene che si susseguono collegate da brevi intervalli musicati dalle chitarre e dalle armoniche dei bambini.
I personaggi della storia si riconoscono dalle piccole corna  colorate da drago che hanno in testa e dalla cintura del judogi coordinata. Gli Igei hanno le corna gialle e i Gei Do verdi. Ci saranno delle bellissime Kiki con le cornine rosa e simpatici Omoi con le corna blu. Cornine bianche per i velocissimi Speedy .

Sono fantastici. C’è il bimbo che recita tutto d’un fiato, quello che si dimentica una parola e ci sorride sopra e quello che fa la faccia terrorizzata. C’è la bimba che da grande farà sicuramente l’attrice e quella che non si ricorda se quello sia il suo turno o no. Sono fantastici nel loro essere genuini. E bimbi. Sono bravissimi. Recitano e si impegnano al massimo. Suonano. Cantano. Cantano loro, tutti assieme. Le loro ombre danzano. Fanno proprie delle frasi davvero difficili, ridono, si emozionano, si spaventano.
La scenografia cambia di scena in scena. I disegni dei bimbi riproducono alla perfezione il dojo del maestro Gei Do, la scuola, la sveglia di Igei. La casa del draghetto.
La storia scorre limpida e viene raccontata con delicatezza e caparbietà.

E alla fine tutti sul palco, tutti con le mani unite, a cantare il brano “Io mi chiamo Igei”. Tutti assieme cantano la frase “io voglio vincere” con le mani al cielo.
Che emozione. E’ difficile raccontarla o spiegarla. L’unica cosa che mi viene da scrivere è che per me è stato un regalo ineguagliabile.

L’applauso finale riempie il teatro.
Salgono sul palco anche la maestra Petrizia e il maestro Davide, a prendersi giustamente la loro parte di applauso e gli innumerevoli complimenti, da parte della platea ma anche da quella degli stessi mini attori. Sono loro due che hanno reso possibile tutto ciò. Hanno fatto un lavoro eccellente. Le canzoni e i testi di Davide sono davvero belli ed emozionanti. Inerenti alla storia e allo stesso tempo originali e creativi. Lo spirito con cui i bambini li hanno imparati e recitati ed eseguiti è meraviglioso.
Mi sento di ringraziarli col cuore e di dir loro che lo spettacolo a cui ho avuto la fortuna di assistere è qualcosa che non dimenticherò mai.

Una sensazione su tutte, in particolar modo, sarà sempre con me. E infonde fiducia nel progetto che stiamo portando avanti e nella vita in generale.
Appena prima che lo spettacolo iniziasse Petrizia mi ha portato dai bambini, che ultimavano i preparativi. Erano agitati ed emozionati, ma pronti. Mi hanno accolto con gioia. “Ciao Ale!!” “Siamo pronti!” “Ci impegneremo al massimo per questa recita!” “Non vediamo l’ora di cominciare! “Abbiamo paura!”. Quanto assomigliava ad una gara di judo, il tutto.
“Ciao ragazzi! Siete bellissimi! E sono sicuro che sarete grandiosi! So che siete agitati, ma ricordatevi sempre la cosa più importante quale dovrebbe essere!”
“Diveritirsi!!!!!!”. Mi hanno risposto tutti in coro, quasi gridando. Sorridendo.

Bravi bimbi, siete riusciti ad imparare la cosa più importante. Fatelo sempre, non smettete mai di farlo. Divertitevi. Uno spettacolo teatrale è così simile ad una gara di judo. Ed è così simile ad ogni sfida che la vita vi metterà davanti. Lo spettacolo potrà essere perfetto come no. Potrete sapere tutto nei minimi dettagli nello stesso modo in cui potrete dimenticarvi una frase, una battuta, il vostro turno. Potrete inciampare e cadere, e rialzarvi ogni volta. Ma vi sarete messi in gioco. Non è il modo in cui farete questo spettacolo e ogni altro che farete che farà la differenza. La differenza la farà lo spirito con cui lo affronterete. Esattamente come dice il maestro Gei Do:
Divertitevi quando fate una gara, ragazzi miei. Siate più forti del concetto di vittoria o di sconfitta. I punti sono qualcosa che misura un singolo gesto, non le vostre capacità o il vostro modo di essere. E ricordatevi sempre che la cosa davvero importante, in un qualsiasi incontro, è uscire dal tatami sicuri di aver dato il massimo di se stessi. Senza rimorsi e senza pensare che avreste potuto fare qualcosa di più. Comunque vada l’incontro. Solo così avrete raggiunto lo scopo, e cioè vi sarete goduti a pieno quel momento. Il judo è lo specchio della vita di tutti i giorni, in fondo. E la vita andrebbe sempre vissuta così.”

Bravi bimbi. Divertitevi, fatelo sempre. E nella vita vincerete ogni giorno.
Grazie.

Alessandro Bruyère


per info sul libro "Igei, storia di un drago che faceva judo clicca qui o cerca IGEI su facebook

martedì 31 maggio 2016

La medaglia di Michael


Ogni medaglia ha una storia alle spalle. Non esiste una medaglia più bella di un’altra, proprio perché ognuna di esse ha una sua storia, diversa da tutte le altre. Che la gente spesso non conosce.
Michael Raso, classe  1992, cintura nera terzo dan, ha conquistato la sua prima medaglia ai Campionati Italiani Assoluti di judo questo week end. A Torino, la città in cui vive, si allena, studia e lavora da qualche anno ormai.

Medaglia di bronzo nella difficile categoria dei 60kg.

Un’immagine su tutte rimarrà nella storia dell’Accademia Torino, perché ognuno dei ragazzi che ne veste i colori in fondo ne scrive piano piano la storia: l”immagine di Maic (noi lo scriviamo così) accosciato, con le mani strette a pugno,il viso rivolto al cielo, che urla a squarcia gola l’ultimo fiato rimastogli nei polmoni, a fianco del suo fortissimo avversario stremato e disteso al suolo. Maic piange. E un brivido corre nel riverbero dell’applauso scosciante che riempie il palazzetto torinese.

Se la gente sapesse cosa vuol dire per lui quella medaglia.
Se sapesse quante volte Maic ci è andato così vicino da sentirne il profumo, non riuscendo a raggiungerla ogni volta per un motivo assurdo. Se la gente sapesse cosa fa Michael durante il giorno. Se sapesse che si  laureato poche settimane fa in infermieristica con un voto eccellente, e che per poterlo fare lavora come tirocinante e aiuta un anziano signore in difficoltà. Se sapesse che è anche  il maestro di spassosi bambini che fanno pre-judo e di altrettanto  spassosi adulti che fanno judo amatori, in modo da potersi pagare l’affitto lontano dalla famiglia e da casa, Castelletto sul Ticino, dove anni fa anche lui era uno spassoso bambino che iniziava judo.
Se sapesse quante volte ha detto con una medaglia di legno in borsa, “basta, non è giusto, non ne vale la pena”, ma il giorno dopo era di nuovo suo tatami. Se sapesse i sacrifici,  le sbroccate,  il calo peso e i litigi. E le scuse il giorno dopo.
Beh, se la gente sapesse tutto questo, non penserebbe la sua medaglia più bella delle altre, perché davvero ogni medaglia è meravigliosa e ha una storia che la gente non sa.
Ma se sapesse tutto ciò, la gente, capirebbe che sì, ne vale la pena in fondo. Capirebbe che i sacrifici, se ci credi davvero, prima o poi ti ripagano. Che la differenza sta tutta nel modo in cui si affrontano le sfide e nella determinazione con cui si combatte, sul tatami e fuori da lì. Nella volontà.
Se la gente sapesse, capirebbe ancora di più quelle lacrime. E  forse sorridendo commossa applaudirebbe ancora più forte.

Bravo Maic!  L’Accademia è fiera di te.

questo è articolo è stato pubblicato sul sito dell'Accademia Torino. Lo si può leggere cliccando al seguente link: accademiatorino