mercoledì 22 febbraio 2012

Un tempo fui una stella

Un tempo fui una stella. Rotolavo su me stessa brillando della mia fantastica luce e osservando l’infinità dello spazio e del tempo.
Poi, come tutto, cambiai. Un giovane e sbadato pianeta non si accorse che la sua orbita incrociava la mia, mi raggiunse, ed insieme esplodemmo. Illuminammo l’universo e io fui divisa in una miriade di stelle cadenti. Ero una di loro, quando conobbi quello strano pianeta. Lui viveva. Entrando nella sua atmosfera mi sgretolai lentamente, fino a tuffarmi, polvere, in quell’interminabile distesa di acqua che lo ricopriva. Ero mare. Immenso e colmo di vita. Un mondo di colori avvolti nella profondità di un blu unico.
Un universo nell’universo, pensai.
Da lontano, una stella in tutto simile a quella che ero, si divertiva ad inseguire una sorta di pianetino più piccolo e meno luminoso, ma affascinante almeno quanto lei, regalandomi con una regolarità che sembrava dettata da qualcuno al di sopra delle parti attimi di luce e attimi di buio. Mi colorava.
Fu proprio mentre contemplavo quella stella che un giorno mi accorsi che stavo salendo verso di lei. Sollevata dal vento danzavo verso il cielo. Stavo tornando da dov’ero venuta, a quanto pareva. Una nuvola, però, fermò la mia corsa. Mi condensai in lei senza fatica alcuna, e ora potevo guardare il mondo che da lì sembravo proteggere.
Dall’acqua affioravano qua e là dei pezzetti di terra, cosparsi di macchie verdi e marroni che formavano un disegno dalle forme apparentemente perfette. Provavo il fortissimo desiderio di assaggiarne la consistenza. E fui accontentata. Non ci misi troppo tempo a tornare acqua. In maniera totalmente diversa da quella che ero già stata, però.
Ero una goccia di pioggia, infatti, quando caddi al suolo. Atterrai con dolcezza scivolando su una graziosa foglia che mi adagiò delicatamente a terra.
Ciao, terra, io ero una stella.
Fu fantastico sentirmi assorbire quasi con avidità da lei. In pochi attimi incontrai la radice assetata che mi bevve. Ero pianta e in breve divenni fragola. Solo guardando le altre fragole il cui rosso spuntava qua e là dal verde così vario nella sua uniformità capii quanto ero bella e preziosa. Con astuzia piccole foglie mi nascondevo, lasciandomi presagire un funesto destino. Era come se gelose e memori del passato si aspettassero che qualcuno volesse prendermi, per portarmi chissà dove. Avevano ragione. Mi allietava l’essere fragola. Protetta e amata. Ma non fui del tutto dispiaciuta, quando dovetti ripartire.
Cominciava un’altra piccola avventura in fondo.
La bocca che mi mangiò strappò con un solo morso l’intero rametto su cui ero nata, e masticandolo distrattamente mi inghiottì. Fu così che divenni cavallo, e fu così che conobbi quella nuova, straordinaria sensazione di libertà. Potevo muovermi. Avanzare su quella terra capace di donare la vita. Correre a
perdifiato creando il vento, lottandovi contro. Vincendolo. Conobbi la potenza. Ma anche l’istinto. La fame. La sete. Conobbi il dolore, e quindi il piacere. Lei, la libertà. Ma anche il limite. Avrei voluto rimanere cavallo per l’eternità. Ma c’era ancora così tanto da scoprire. E ora intuivo un barlume di cognizione. Capivo come funzionava il mio corpo. Potevo utilizzarlo. Capii che ciò che non era per me indispensabile, o utile, veniva espulso. Ne approfittai, diventando feci. Che differenza, pensai.
Ciao, terra. Sono di nuovo io. Ero una stella, ricordi? Avevo perso tutto ciò che di fantastico avevo appena conosciuto.
Eppure ne ero certa, anche in quella condizione dovevo avere una qualche utilità, un ruolo in quell’ incomprensibile ingranaggio di cui ormai sentivo di far parte. E infatti in breve tempo, con quella mia nuova capacità di concimare divenni seme per trasformarmi gradatamente in albero. Vivevo di nuovo. In un modo ancora diverso. Non potevo muovermi, è vero. Ma emanavo vita. Dai miei rami nascevano in continuazione piccoli fiori di un rosa inimitabile. La mia figura era imponente. Mi sentivo forte. Invincibile. Ma mi sbagliavo. Fu un fulmine a sconvolgere la situazione. In una giornata di pioggia, proprio mentre guardavo con un po’
di nostalgia quelle gocce che un dì furono le mie sorelle, un lampo luminoso colpì uno dei miei rami, spezzandolo. Un istante, ed ero fuoco. E poi, subito, fui fumo. Fu davvero solo un attimo effimero di eternità. Una fiammata, che non mi lasciò il tempo di realizzare cosa stesse succedendo, ma in cui riuscii ad intuire comunque una sensazione di potere sconvolgente.
Era proprio accanto a me, quell’essere così incredibilmente complicato che mi respirò. Lui tossì, ed io fui uomo. Non mi è possibile spiegare con quelle che ho imparato essere parole ciò che provai nel momento in cui presi consapevolezza di me stessa. Ciò che mi sconvolse fu l’accorgermi di essere in grado di pensarmi. Di farmi domande. Di capire anche solo cosa fosse, una domanda. Fu un’emozione ineguagliabile il prendere atto di ciò che ero. Ero un intero mondo racchiuso in unico essere. Ciao, anima. Piansi. E alla fine decisi di scrivermi.

Un tempo fui una stella. Poi divenni storia… Ora sono te. E in futuro? Nessuno può
saperlo. Ma certamente cambierò. Tutto cambia. In questo viaggio dal profumo
d’avventura che si chiama eternità.

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